Campagna

venerdì 19 marzo 2010

Aiutante di Marconi........Pierluigi Ighina


Nuvole, fulmini e Orgone
marzo 14, 2010 edge science Nessun commento


INTERVISTA ALL’ING. ROBERTO MAGLIONE

Roberto Maglione, ingegnere, ha lavorato per numerosi anni nel settore esplorativo di una multinazionale petrolifera. Attualmente è responsabile della Comunicazione Scientifica in una società leader mondiale nel settore della bioingegneria cardiovascolare. È autore di un testo di carattere scientifico (Reologia ed Idraulica dei Fluidi di Perforazione, Cusl, 1999, 21 edizione) e di oltre 70 articoli tecnici. È membro di numerose associazioni scientifiche.

Domanda: Dopo oltre due secoli e mezzo di ricerche su nuvole e fulmini, i conti non tornano nell’energetica di questi processi, come afferma su Scientific American Joe Dwyer del Florida Institute of Technology. Tu hai scritto un libro sul controllo delle nuvole, che c’è di nuovo e di ingegneristico nella teoria e nella tecnologia?

Risposta: L’interesse dell’umanità verso i fenomeni atmosferici e la meteorologia va indietro fin nell’antichità. Già alcuni secoli prima di Cristo, Aristotele cominciò a studiare i processi e i fenomeni atmosferici che sono alla base della pioggia, vento, fulmini, tifoni, inondazioni, cambiamenti climatici e riportò le sue osservazioni in un libro intitolato Meteorologia. Tuttavia, si cominciò a studiare l’atmosfera in modo scientifico e dettagliato solo a partire dal XIX secolo. Scienziati come Fourier, Arrhenius, Bjerkens, Bergeron e Solberg gettarono le basi della moderna meteorologia, grazie all’invenzione del termometro a mercurio e del barometro e ai loro studi pionieristici sul riscaldamento dell’atmosfera e sulle cause dell’effetto serra, il flusso delle masse d’aria, i meccanismi delle precipitazioni e i fenomeni che stanno alla base della formazione dei cicloni.

Solamente a partire dagli anni ‘30 del secolo scorso, grazie alle ricerche eseguite dall’olandese Veraart, si cominciò seriamente a pensare a come modificare il tempo e il clima a proprio favore e in accordo alle necessità ed esigenze del momento. Il cambiamento del tempo è di per sé una cosa abbastanza semplice da attuare in quanto prevede il cambiamento delle condizioni atmosferiche per un breve periodo di tempo, che può essere al massimo di qualche giorno e su aree modeste. La modificazione del clima invece implica variazioni che interessano un più ampio periodo di tempo e inoltre può avvenire anche su aree molto più estese.

Veraart videi dai suoi esperimenti che le goccie di pioggia si formavano nelle nubi più velocemente in presenza di cristalli di ghiaccio. Usò quindi del ghiaccio secco e dell’acqua sopraffusa per seminare le nubi e produrre pioggia da esse. Veraart diede così il via a una nuova scienza che prese il nome di cloud-seeding o seminazione artificiale delle nubi. Negli anni ‘50, gli americani Schaefer e Langmuir sono stati i primi ad effettuare test su larga scala e a monitorare i risultati ottenuti. In seguito Vonnegut impiegò per la prima volta, al posto del ghiaccio secco, lo ioduro d’argento che ha una struttura cristallina molto simile al ghiaccio secco ma è molto più economico. Gli ultimi decenni del secolo scorso hanno visto un continuo susseguirsi di esperimenti e operazioni su larga scala in tutte le parti del mondo, in un gran numero di condizioni atmosferiche e su differenti tipi di sistemi nuvolosi.

Nonostante le limitazioni del suo impiego, che prevedono l’esistenza di nubi affinché possano essere seminate, tale metodologia è largamente usata oggigiorno, sia per produrre pioggia che per ridurre la velocità e l’intensità di tifoni e uragani. Un gran numero di interventi vengono annualmente eseguiti in tutte le parti del mondo soprattutto per produrre pioggia.

Tuttavia da molte parte, come anche Dwyer sottolinea, si pensa che il cloud-seeding e tutta la teoria energetica che sta alla base, non sia così infallibile e molto spesso non si ottengono i risultati programmati. Infatti, in molti casi, le precipitazioni potenzialmente indotte dal cloud-seeding avvengono con percentuli che non possono essere imputate all’efficacia dell’intervento, mentre a volte possono anche sortire l’effetto contrario e inibire la formazione della pioggia. Si è visto che in zone ad alta densità di interventi si sono registrati lunghi periodi di forte siccità negli anni seguenti. E’ quindi possibile che la massiva immissione nell’atmosfera di agenti chimici possa fortemente contribuire alla formazione di effetti collaterali e indesiderati sul clima e in alcune zone possa addirittura determinare un’inversione delle condizioni climatiche.

E’ quindi evidente che si comincia a guardare un pò con sospetto alle tecniche attuali sulla modificazione del tempo e alle teorie su cui si basano ed è altresì evidente che le metodologie attualmente a disposizione non siano sufficienti a garantire un’adeguata programmazione degli interventi. A mio paerere la teoria energetica tradizionale dovrebbe essere rivista, anche alla luce delle nuove scoperte che l’orgonomia di Reich ha messo a disposizione, in modo da garantire lo sviluppo di protocolli, procedure e metodologie più affidabili e sicure.

Domanda: Viene ipotizzato da fisici dell’atmosfera, Claudia Adamo dell’ENEA e Alex Guverich dell’Istituto di Fisica Lebedev di Mosca, che quando i raggi cosmici colpiscono una molecola d’aria, ionizzandola producono elettroni ad alta energia: ‘… Quando questi elettroni energetici entrano nel campo elettrico che si genere in una nube temporalesca, vengono ulteriormente accelerati e la loro energia cresce. A loro volta, questi elettroni ne colpiscono altri e così via in una reazione a catena. E’ in questo modo che in una piccola regione di nube in un tempo limitatissimo, questi elettroni ionizzano l’aria al punto di creare un plasma e si innesca la scarica …’ Che ne pensi di questo modello e cosa ci puoi dire delle sperimentazioni con il cloudbuster che, come riferito da Reich e dagli studiosi che hanno continuato gli studi, sarebbe in grado di intervenire nel processo di formazione delle nuvole e dei suoi potenziali interni?

Risposta: Le teorie che sono alla base del funzionamento di un cloudbuster, che è lo strumento utilizzato per intervenire nella regolazione dei fenomeni atmosferici, differiscono sostanzialmente da quelle sviluppate dalla scienza tradizionale. Queste ultime sono modelli che hanno un solido background basato sull’assunto che lo spazio è vuoto, come sosteneva Einstein, e che non esiste alcun mezzo o sostanza eterica in esso. Di conseguenza tutte le scoperte e gli sviluppi cui abbiamo assistito in campo scientifico negli ultimi secoli, in tutti i settori, si basano su questo assunto fondamentale. E’ ovvio quindi che ognuno è figlio di un certo genitore e quindi la teoria ipotizzata dai fisici europei si allinea in questo senso. Manca nell’interpretazione e nello studio del fenomeno naturale il concetto fondamentale della presenza di un etere sia nell’atmosfera come in tutta la Natura stessa. Questo fatto mi è quasi incomprensibile perché, nonostante il gatto che in tutti i tempi e in tutte le epoche sia stata suggerita la presenza di una sostanza eterea in natura che permea qualunque cosa, per un verso o per un altro non è mai stata accettata e si è sempre preferita la teoria del vuoto parallelamente a una concezione meccanicistica del mondo.

Il funzionamento del cloudbuster si basa invece sul flusso di questa massa eterea, o energia orgonica come l’aveva chiamata Reich, che invece per la scienza tradizionale non esiste. Per cui molto difficilmente il cloudbusting potrà avere dei punti in comune o almeno convergere per alcuni versi con le teorie tradizionali. Formazione o dissolvimento di nubi, produzione di pioggia o di neve, creazione di flussi d’aria o venti, indebolimento e dissolvimento di uragani, sono tutti fenomeni atmosferici che possono essere indotti o trasformati agendo semplicemente sui potenziali che l’energia orgonica (o eterica) presente nell’atmosfera possiede. Non c’è bisogno di immettere nell’atmosfera alcuna sostanza chimica, come succede invece per il cloud-seeding. Inoltre può essere applicato in qualunque condizione atmosferica, anche senza la presenza di nubi preesistenti. Come si può osservare, le sue applicazione quindi sono infinite, e si può semplicemente passare alla produzione di pioggia per scopi civili, agricoli o anche neve per scopi turistici fino a quella importantissima di combattere la desertificazione. Un’altra applicazione molto attuale è il controllo dell’inquinamento atmosferico.

Sembrano tutti punti che possono sfiorare la fantascienza. Tuttavia, da quando Reich ideò il cloudbuster negli anni ‘50, sono stati fatti moltissimi esperimenti da parte di numerosi scienziati e ricercatori, come Constable, Blasband e DeMeo, che hanno seguito i protocolli e le procedure da lui sviluppate, mirati a verificare l’efficacia della tecnologia. Sono state utilizzate le attrezzature e le procedure più sofisticate, i fronti nuvolosi sono stati monitorati via satellite, mentre tutti i dati relativi alle precipitazioni prima e dopo gli interventi sono stati forniti da fonti ufficiali e analizzati con metodi statistici. Il risultato finale è che il cloudbuster ha fatto piovere nell’80% dei casi in cui è stato utilizzato, con un elevato livello di attendibilità, nei più aridi deserti del pianeta come quello dell’Arizona, in Eritrea a ridosso del Sahara e in Namibia in Africa. In Israele si ebbero abbondanti pioggie che resero necessario un successivo intervento per ridurre le precipitazioni. In Eritrea, le piogge furono talmente abbondanti, dopo trent’anni di siccità, che si formarono dei laghi artificiali nel deserto, vicino alla diga di Aussan (vedi intervista a James DeMeo), di cui non si ricorda la formazione a memoria d’uomo.

Domanda: Da ingegnere abituato ai calcoli e ai risultati operativi, che giudizio hai del cloudbuster e delle esperienze di controllo del clima?

Risposta: In generale chi possiede un baground di tipo scientifico predilige la praticità, il risultato di facile applicabilità di un attrezzo a complesse teorie e modelli matematici e a sofisticate strumentazioni. Potrebbe sembrare un paradosso ma il cloudbuster soddisfa tutti questi requisiti di una mente scientifica. Esso è semplice da utilizzare e si possono osservare i risultati con dati alla mano. Basta studiare le mappe delle precipitazioni o i valori dei parametri che caratterizzano l’inquinamento atmosferico, monitorare i dati prima e dopo gli interventi e, con l’aiuto della statistica, determinare l’affidabilità dei risultati ottenuti. Ovviamente tutto ciò può avvenire solamente applicando protocolli e procedure di intervento ben definiti che variano a seconda dei casi. Queste si basano fondamentalmente sulla legge dei potenziali orgonomici e su alcune proprietà che metalli e liquidi possiedono nei confronti dell’energia orgonica.

Voglio ancora ricordare che con il cloudbuster si possono raggiungere significativi e a volte straordinari aumenti della produzione di pioggia che possono arrivare fino al 500% nel corso di una sola stagione. Questi dati possono essere confermati effettuando uno studio comparato con i dati storici di una determinata zona. Il cloud-seeding invece può al massimo portare un aumento statistico nelle piogge deel 12/15% nel corso di una intera stagione.

Di fronte a questa situazione credo che la cosa più importante siano i risultati. Poco importa se la fisica oggigiorno non è ancora in grado di spiegare i principi del funzionamento del cloudbuster. Tuttavia esiste un dato reale, una certezza e cioè che quando esso viene utilizzato, seguendo certi criteri, può far piovere, ridurre i tassi di inquinamento, oppure ancora combattere la desertificazione. Ci sono moltissimi casi presenti nella storia della Scienza di attrezzature oppure di procedure che la Scienza ha stentato a capire e a cui è riuscita a dare una spiegazione, magari a distanza di decenni dalla loro ideazione. Questo tipo di ricerca scientifica va sotto il nome di metodo empirico. Prima nascono lo strumento e i risultati e poi lentamente si modella una teoria in grado di spiegane il funzionamento. Io credo che per il cloudbuster, come forse per tutta la biofisica orgonica, siamo in questa situazione, anche se la spiegazione già potrebbe esistere.

Domanda: Oltre al cloudbuster e al controllo del clima, W. Reich ha lavoroto in molti altri campo della fisica e della vita. A cinquant’anni dalla sua tragica scomparsa, che cosa resta secondo te di attuale nel suo lavoro?

Risposta: A mio parere il lavoro di Reich è più attuale che mai. In questi ultimi anni si è registrato un crescente interesse da parte della gente alle ricerche di Wilhelm Reich e soprattutto al cloudbusting e alla modificazione del tempo e del clima. Gli interventi per modificare le condizioni climatiche sono una tematica fortemente attuale, sia per i suoi molteplici utilizzi che per la pressante necessità dettata dai problemi ambientali.

La domanda più ricorrente che mi è stata fatta dall’uscita del libro che ho scritto su Reich e la modificazione del clima è perché tale tecnologia, nonostante sia stata concepita oltre cinquant’anni fa e sia tuttora in fase di sviluppo e di perfezionamento, non abbia ancora avuto la diffusione che le compete e che merita. La tecnologia è affidabile e potrebbe risolvere, almeno temporaneamente, i problemi a cui l’ambiente è sottoposto come la presenza della DOR, sottoforma di cappa di umidità ed elevate temperature molto frequente nelle nostre zone, lo smog, gli incendi boschivi, la mancanza di acqua e non ultimo quello molto importante di deviare il corso degli uragani lontano dalla terra ferma verso il mare evitando così i frequenti disastri a cui sono soggette le aree coinvolte.

La risposta è molto difficile da dare. Forse, non si è ancora pronti a recepire una tecnologia troppo semplice ed economica, come d’altra parte potrebbe essere considerata tutta biofisica orgonica. Oppure altre tecnologie possono per ora avere la precedenza per via della loro maggiore diffusione e utilizzo o per gli ingenti investimenti che sono stati necessari per il loro sviluppo.

Una cosa è certa. La gente ha bisogno di fatti concreti. E’ stanca di affrontare grosse problematiche che flagellano il nostro pianeta con azioni che apportino solo dei minuscoli miglioramenti se non in qualche caso dei peggioramenti all’ambiente.

Un’altra cosa a mio parere è indiscutibile. Reich e la sua opera, soprattutto quella sviluppata nella seconda parte della sua vita, la biofisica orgonica, di cui il cloudbusting è parte integrante è poco, se non addirittura per nulla, conosciuta e studiata. E’ portata avanti din modo serio solo da pochi appassionati che spendono molto del loro tempo e del loro denaro per poterla migliorare e sviluppare. A mio avviso è importante che questa nuova Scienza non resti isolata ed emarginata. E’ necessario che si cominci a considerarla come una potenziale risorsa per il futuro, dandogli quella importanza che merita. E’ altresì importante cominciare a studiarla a fondo con i mezzi di oggi, parallelamente alle altre Scienze, cosa che può essere fatta solo con l’intervento di Enti Governativi e di gruppi di ricerca privati e con elevati investimenti.

Domanda: Puoi darci qualche informazione sui tuoi test in agricoltura con l’energia orgonica?

Risposta: Cominciai a fare esperimenti qualche anno fa con semi di vario tipo che tenevo in carica per un pò di tempo in un piccolo accumulatore orgonico. In seguito, cominciai a eseguire esperimenti più articolati sia di laboratorio che di campo, prendendo spunto dagli studi effettuati da altri ricercatori, con semi che erano stati caricati in accumulatori più grandi e con caratteristiche differenti. Attualmente, in letteratura, non esiste molto a riguardo e poche sono le ricerche e gli studi che sono stati effettuati su semi caricati o su piante cresciute in un accumulatore di energia orgonica. Per quanto ne so anche Reich, sebbene fosse molto interessato a studiare gli effeti dell’energia orgonica sugli esseri viventi e su tutto quanto è il regno vegetale, non eseguì mai esperimenti controllati con semi caricati o particelle cresciute in un accumulatore orgonico e non pubblicò mai nulla a riguardo. I primi esperimenti in questo senso furono eseguiti negli anni ‘50 da un gruppo di ricercatori di una piccola società americana, la Tech Products. Essi eseguirono dei test con semi di mais che erano stati tenuti in un piccolo accumulatore orgonico, composto di tre strati, per un mese mentre alcuni semi non trattati erano stati tenuti come controllo. Dopo la semina, essi videro che i semi trattati erano tutti germogliati mentre quelli di controllo erano germogliati per l’80%.

Negli anni successivi, fino ad arrivare ai giorni nostri, sono stati eseguiti parecchi esperiementi, soprattutto negli Stati Uniti, con semi di vario tipo come radicchio, pomodoro, crescione e fagiolo, oppure con tuberi di patata e bulbi di aglio che venivano caricati in accumulatori orgonici per un certo periodo di tempo. Nella stragrande maggioranza dei casi sono stati ottenuti risultati positivi, sia come aumento della produzione che come crescita e sviluppo delle piante con piante più robuste, più alte e con un maggior numero di foglie, che non potevano essere imputati al caso o a condizioni esterne particolari.

I risultati più clamorosi furono ottenuti da Espanca in Portogallo, la quale effettuò una serie di esperimenti di campo in scala ridotta. Essa eseguì per un numero consecutivo di anni esperimenti con semi di pomodoro, paprika, melanzana e bulbi di aglio, caricati in accumulatori di diverse dimensioni e caratteristiche e per differenti periodi di tempo. Inoltre, eseguì anche esperimenti con acqua tenuta in un accumulatore orgonico che fu usata per innaffiare piante di pomodoro e di paprika. Ottenne dei risultati a dir poco clamorosi. Infatti, in alcuni esperimenti con i semi di pomodoro ottenne un’aumento della produzione per pianta tra l’88% e il 402%. Mentre negli esperimenti con gli altri tipi di seme ottenne risultati più contenuti, con aumenti variabili tra il 17 e il 72% con i semi di melanzana, tra il 2 e il 43% con i semi di paprika e attorno al 30% con i bulbi di aglio.

Una caratteristica legata ai gruppi di semi trattati nell’accumulatore orgonico è che molto spesso la pianta cresce più robusta e si sviluppa maggiormente in altezza. Claymond negli anni ‘80, vide nei suoi esperimenti che le piante di patate, i cui tuberi erano stati trattati, presentavano una maggior robustezza e le foglie rimanevano verdi più a lungo. Recentemente DeMeo ha eseguito esperimenti sulla crescita dei germogli di fagiolo all’interno di un grosso accumulatore. Vide che i germogli crescevano più velocemente di quelli di controllo con differenze medie variabili attorno al 34%.

In questi ultimi anni ho condotto esperimenti sia di laboratorio che di campo, su scala ridotta e su larga scala, con semi di zucchine, melanzane e mais trattati in accumulatori orgonici. In molti casi ho ottenuto risultati positivi che confermano quelli riportati in letteratura. Ho registrato ad esempio, negli esperimenti di campo su scala ridotta, un aumento della produzione di zucchine dell’81%. Ho inoltre osservato una maggiore estensione della vita delle piante, con una maggiore robustezza e fogliame. I risultati con i semi di mais hanno dimostrato l’efficacia del trattamento orgonico sia sulla germinabilità, sia sulla produzione del prodotto secco che sulle caratteristiche biologiche delle piante. Ho ottenuto negli esperimenti di campo su larga scala, valori massimi negli aumenti della germinabilità media del 2,5% e della produzione media di circa il 17% con valori puntuali di oltre il 21,0%.

Inoltre ho notato che le piante trattate resistono molto meglio a eventi atmosferici come forti venti e abbondanti piogge. Infatti, le piante dei gruppi trattati presentano una maggiore robustezza, vigorosità e stabilità di quelle di controllo.

Infine un risultato molto interessante, ma anche controverso, è stato quello del 2003, che è stato un anno caratterizzato da un’estate torrida e secca, dove ho ottenuto una produzione di mais del gruppo trattato minore del 12,2%. Tuttavia il dato più sconcertante è che le produzioni di mais trattato e di controllo, sono state superiori del 34% del 45%, rispettivamente rispetto alla media registrata nelle aree circostanti, che sono state coltivate con le stesse tecniche e metodologie. E’ come se le aspre condizioni climatiche e la siccità non avessero influito sull’area dedicata all’esperimento ma solamente su quelle circostanti. E’ un risoltato molto interessante, al quale per il momento, non so dare una valida spiegazione, e che merita di essere studiato più a fondo, come tutti i risultati degli esperimenti finora eseguiti, per capire meglio le interazioni esistenti tra l’energia orgonica, le variazioni delle condizioni climatiche, le caratteristiche del terreno e la crescita e lo sviluppo della pianta.

“In questo lavoro, Roberto Maglione ha intrapreso il difficile compito di scrivere una overview scientifica dell’argomento, partendo dai primi lavori di Reich, che risalgono agli anni ‘50, fino a quelli più recenti di ricercatori e scienziati che hanno seguito il lavoro di Reich. Ha trattato l’argomento con attenzione, evitando le trappole dell’entusiasmo esagerato o dello scetticismo, attenendosi ai fatti ed a ciò che è stato dimostrato scientificamente. È un lavoro che dovrebbe, in un mondo razionale, attirare l’attenzione di scienziati responsabili e competenti, di privati cittadini e di funzionari governativi che si preoccupano del benessere dell’umanità e dei grossi disastri che ripetutamente si abbattono sul territorio a causa della siccità e dell’avanzare della desertificazione.” – James DeMeo, PhD Orgone Biophysical Research Lab Greensprings, Ashland, Oregon, USA